La neve cadeva placida e lenta, in fiocchi soffici e grandi come tovaglioli; il
suo manto da regina copriva i tetti, i lampioni, gli alberi, le strade, i campi, tutto. La
neve cadeva da ore, ormai, e ovattava ogni rumore, dalla campagna fino alla
grande strada laggiù, quella che portava verso la città. Nemmeno il più fantastico
tra i registi avrebbe saputo immaginare uno scenario più adatto per la vigilia di
Natale.
Era pomeriggio, e mancavano poche ore al giorno più magico e speciale
dell’anno. Daniele, nove anni, osservava il mondo di fuori dalla finestra della cucina
di casa sua. Poco lontano, poteva udire il rumore dei miniciccioli, e le voci degli altri
bambini del quartiere, impegnati a costruire pupazzi di neve e a portare avanti
chissà quali altri giochi. Mezz’oretta prima Bruno, suo coetaneo e compagno di
classe, aveva suonato alla porta per chiedergli se volesse unirsi a quei giochi; la
madre lo aveva incoraggiato ma lui, con uno sbuffo ed un’alzata di spalle, aveva
detto di no. L’amico se n’era andato, scuotendo la testa, come se Daniele fosse un
pochino fuori di testa, e non sapesse cosa si stava perdendo.
E invece Daniele, un motivo per essere triste, lo aveva: tre giorni prima era
venuto a mancare Johnny, il suo cagnolino, quello che gli aveva tenuto compagnia
da quando era nato. C’era stato un piccolo funerale, e avevano seppellito il piccolo
meticcio ai piedi del grande acero sul lato sinistro del giardino. C’erano state tante
lacrime, e un fiore appoggiato sul terreno, che ora era là fuori, sotto la neve
incessante. Daniele continuava a guardare fuori dalla finestra, e niente era riuscito
a distrarlo: né il suono della tv, con i suoi cartoni animati preferiti, né gli amichetti,
né la mamma, che gli aveva offerto una cioccolata calda e una fetta del dolce che
aveva appena sfornato. Nulla da fare: i fiocchi di neve erano i suoi soli amici, l’unico
spettacolo che gli potesse interessare di guardare.
I minuti e le ore trascorsero in quel silenzio ovattato, e giunse il momento di
andare da nonna Angela per la tradizionale cena della vigilia di Natale. Di
malavoglia, si alzò, indossò la sua felpa preferita, rossa con il volto di Topolino, e
salì in macchina con i genitori. Andarono a Nocetolo, un paesino poco distante dal
loro: quando arrivarono alla vecchia casa di campagna, trovarono la famiglia,
nonni, zii e nipoti, già radunata al gran completo. Dall’impianto audio del televisore
si potevano sentire le note di alcuni canti tradizionali, accompagnati dal vociare e
dalle risate dei suoi parenti. Daniele aveva sempre adorato il Natale e ciò che esso
portava: stare con tutte le persone che amava, i cibi succulenti, l’eccitazione per i
tanti regali.
Quell’anno però era tutto diverso, e lui non riusciva ad essere felice,
nemmeno un pochino. Neppure i tortelli di zucca della nonna Angela, di cui era
ghiotto, avevano saputo tirarlo su di morale. Gli antipasti, i primi e i secondi di
pesce furono spazzolati via in men che non si dica, accompagnati dagli
apprezzamenti di tutti in favore della cuoca. Ad un certo punto, prima che fossero
serviti i dolci, Carlo, il papà di Daniele, si alzò in piedi ed uscì dalla sala da pranzo.
Nel farlo, guardò la moglie Lucia e le fece l’occhiolino. Lei, per tutta risposta,
soffocò un risolino, come se fosse stata la cosa più divertente del mondo. Daniele
non riusciva a capire cosa ci fosse da ridere: Johnny, il suo caro amico Johnny, non
c’era più! Lui era profondamente triste, tutti dovevano esserlo.
Non fece in tempo a dare sfogo a queste sue emozioni, che il padre rientrò
nella stanza. O meglio, fece capolino dalla porta socchiusa e, chiamandolo per
nome, gli chiese gentilmente di chiudere gli occhi, perché aveva una sorpresa per
lui. Daniele non aveva affatto voglia di sorprese ma, da bambino educato qual era,
non voleva scontentare i genitori. Così, schermò gli occhi con le sue manine
paffute. Sentì la porta cigolare sui cardini. Chissà cosa sarà. Dopo alcuni secondi di
suspense, papà Carlo gli chiese di aprire gli occhi, solo dopo aver commentato: “E’
un regalo speciale, me l’ha appena passato Babbo Natale in persona attraverso il
camino”.
Lui tentennò per un attimo, poi aprì un piccolo varco tra il medio e l’anulare;
infine con l’occhio destro sbirciò attraverso quel varco. Rimase letteralmente senza
parole: suo papà teneva in braccio un cucciolo di Labrador. Aveva un grande fiocco
rosso in testa, era color cioccolata e aveva due occhi grandi grandi, blu come un
lago alpino. Daniele pianse di gioia, poi abbracciò a lungo mamma e papà.
Asciugate le lacrime, prese in braccio il cagnolino e lo liberò dal fiocco. Il cucciolo lo
guardò con aria sorpresa, prese a scodinzolare e poi gli leccò alcune volte il viso. Il
bambino schiuse finalmente il suo sorriso.
“Come vuoi chiamarlo?” Gli chiese la mamma.
Daniele corrucciò la fronte, e si portò l’indice destro sulle labbra. Dare un nome era
una faccenda seria, pensò tra sé e sé. Lui adorava i cartoni ma soprattutto i fumetti
della Disney, li divorava fin da quando aveva imparato a leggere.
“Ho deciso, lo chiamerò Pluto!”
Il cucciolo, scodinzolando, sembrò approvare la scelta, e leccò nuovamente il viso
di Daniele. Il bambino rise, e quelle risate finalmente asciugarono davvero le
lacrime dei giorni precedenti.
Da dietro lo scuro di una finestra, Babbo Natale, che aveva osservato tutta la
scena, sorrise compiaciuto. Poi volò via, insieme alle sue renne, per andare a fare
felici altri bambini.
Tommaso Landini
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