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“Il Natale di una volta”

“Il Natale di una volta”

Quanto tempo era passato dalla scomparsa di sua moglie Adelina, Mario lo ricordava a stento.
Tanti anni trascorsi insieme, i figli ormai cresciuti e lontani erano emigrati altrove, avevano scelto
di lasciar l’Italia. Ora lui muratore modenese in pensione viveva nella nebbia dei ricordi.
La mente talvolta offuscata per la malattia che gli divorava i ricordi.
Ma una cosa non l’avrebbe mai scordata: la dolcezza della moglie, quel suo essere sempre calma e
comprensiva. E poi la cosa che gli mancava di più erano le feste tutti insieme: cucinare,
apparecchiare, scodellare e riunirsi a tavola, poi giocare insieme. Quanti Natali avevano passato nel
piacevole tepore della piccola casa accogliente che li aveva ospitati per tanti anni.
L’odore di cibo speziato, dei dolci prepararti per l’occasione, i pochi regali che potevano
permettersi e un piccolo abete attorno a cui si riunivano la mattina del 25 dicembre. Il vorticare
della neve si vedeva attraverso i vetri sbeccati, il camino acceso a riscaldare la stanza.
Poi le battaglie a palle di neve, i pupazzi, le folli discese in slittino.
Ora tutto era diverso, una telefonata frettolosa, qualche strano augurio, e più nulla. Era solitudine,
abbandono, distanza. Mario si asciugò gli occhi nel fazzoletti a quadri e si soffiò rumorosamente il
naso. Poi scacciò lesto i funesti pensieri e pensò ad andare avanti come aveva sempre stoicamente
fatto finora, nonostante il dolore. Erano passati orami 2 anni, ma non ci faceva l’abitudine a star
solo. Quella casa gli sembrava immensa e opprimente senza di lei, sua fedele compagno discreta di
vita.
Poi quel 25 dicembre se ne era andata silente e quieta, non aveva semplicemente più aperto gli
occhi, la morte migliore aveva pensato lui, senza sofferenza. L’aveva osservata a lungo poi aveva
chiamato l’ambulanza, i figli e tutto si era svolto come se lui non fosse altro che uno spettatore di
un film che non gli appartiene. Pensava: “Non è lei, non può essere lei, la mia Adelina. Sto ancora
sognando…” Invece era tutto reale: il carro funebre, l’omelia, la sepoltura, l’addio sussurrato a fior
di labbra. Se n’era andata.
Quel Natale trascorse così i figli dopo un giorno ripartirono presi dai loro impegni inderogabili e lui
si trovò solo.
Oggi era di nuovo Natale e lui non riusciva a darsi pace era avvolto nella nostalgia di un passato
perduto irrimediabilmente. Tutto gli pareva evanescente, scolorito, appassito. Il fulcro della famiglia
era sempre stata lei, creativa, allegra, ciarliera, generosa, lui schivo, solitario, di poche parole, ma
con un gran senso pratico. Erano gli opposti eppure si erano alti per tanto tempo, quello che era
stato loro concesso. Ora mentre guardava la neve cadere silenziosamente sul viale antistante la casa
rifletteva a com’era e ciao non sarebbe tornato e decise di non stare più solo. Alcuni giorni dopo
andò in una casa di riposo vicina e si fece accogliere e a aiutare, da allora visse più serenamente
senza affogare solitario nei suoi tristi ricordi.
Condivise le sue esperienze con gli altri e trovò persone sensibili e gentili che lo seppero aiutare al
meglio.

Di Valentina Quarona

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