Un giorno, ad un ragazzo di Besozzo, suonò il telefono “Istituto Scolastico Adamoli, è
disponibile per una supplenza?” A volte, qualunque cosa si abbia in mente, occorre dire
“Sì”. “Classe quinta, ore 7.55, a domani”. Pronti via, insomma. Era pieno novembre e
l’aria del mattino molto fresca. L’ingresso a scuola fu strano … eppure, per certi versi,
del tutto normale. L’esperienza di allenatore sportivo aiutava il ragazzo, o forse no: “Ci
farai fare sport allora!” fu la prima richiesta dei bambini. “Un po’ sì, ma ora sono qui per
insegnare”. Non fu immediato, ma dopo qualche tempo il discorso venne compreso. La
classe però non è un campo da gioco, occorreva inventare qualcosa, ma c’è una ricetta
per trattare i bambini (o le persone): non siamo impasti da informare!
“Oggi faremo le divisioni” disse un giorno il maestro. “Non vogliamo” risposero i ragazzi.
“Non importa, dobbiamo imparare qualcosa” Ma fagliela capire … “Innanzitutto dovete
… silenzio … inoltre, occorre dividere … girati Serena, silenzio … prendiamo il 18 e …”
BAM! sulla cattedra. “Innanzitutto ascoltate!” disse severo il maestro. “Ma io voglio
giocare a calcio” ribatté un alunno. Nulla di strano: i bambini vogliono giocare, i
maestri vogliono insegnare. Eppure, oggi è strana: per bambini che nascono
immersi nella tecnologia, i quali passano più tempo coi computer che con gli amici, non
è facile. La loro attenzione è scarsa, occorre ripetere le nozioni spesso, alcuni non
leggono e non scrivono perché.. “Non abbiamo voglia” dissero altri due alunni.
Il maestro, novello, aveva però una buona memoria “Occorre imparare comunque; per
farvi capire vi racconterò la storia del panettiere della notte” disse guardando
fuori dalla finestra. Il sole era pallido e la brina copriva ancora i campi. “Evviva!”
gioirono gli alunni. “Vi racconterò la storia … dopo le divisioni”. Gli alunni sbuffarono,
ma non ci furono ragioni.
Quattro ore dopo arrivò il momento della storia; evento che gli alunni avevano atteso
con curiosità … l’attesa oggi, non è più molto sopportata: “Tempo fa, a Besozzo
c’erano le strade in terra battuta, gli inverni erano molto freddi e le notti invernali molto
lunghe. I pochi abitanti vivevano in povertà, con le candele al posto della luce. Il cibo
scarseggiava. Solo il grano, il cibo dei contadini, dava sostentamento sicuro. La farina
grezza e genuina veniva usata per produrre pasta e pane. Nel paese era famoso un
panettiere, magico”. “Magico? “chiese un bambino. “Magico perché stava sveglio tutta
la notte a preparare il pane.” continuò il maestro “Di giorno altre persone vendevano i
suoi prodotti. Nelle notti molto fredde il suo forno cuoceva il pane, e i passanti potevano
bussare alla finestrella dalla quale una grande mano infarinata avrebbe lasciato uscire
il pane caldo, ovviamente con un soldo in cambio. Nessuno, tuttavia, aveva mai visto il
panettiere in faccia, e nessuno sa il perché.
Un inverno successe qualcosa di molto brutto.
Era la metà dicembre, ed un devastante alluvione si scatenò sul paese. Il fiume uscì
dagli argini e ruppe le case. I pochi beni degli abitanti vennero spazzati via; qualcuno perse
anche gli affetti più cari. Quella notte fu tragica,
il freddo pungeva la pelle e le ossa degli abitanti. La mattina seguente, dicembre si
ripresentò con una forte. Durante il giorno la gente si era scaldata muovendosi, ma il
lavoro era troppo e il cibo poco. Per la notte gli abitanti avevano costruito una capanna
nella parte alta del paese, vicino al Castello, al riparo dalle acque del fiume in piena. Lì
vicino si trovava il negozio del panettiere. La notte invernale arrivò presto, la neve
cadeva forte. Giuseppe, un bambino di dieci anni, fu chiamato dal babbo, ferito ed
esausto dal duro lavoro –Giuseppe, raduna i tuoi amici. Chiedere al panettiere cibo e
acqua, noi adulti siamo esausti- Giuseppe si fece forza, radunò i suoi due amici più cari
e insieme uscirono dalla capanna. Gli zoccoli coprivano metà del piede, l’altra metà era
già gelata. -Corriamo!- Disse Giuseppe. Giunsero al negozio, bianco, sporco e crepato
del panettiere. La finestrella era chiusa. TOC TOC. Nulla, TOC TOC … mai arrendersi.
La finestra si aprì piano, lasciando uscire un flebile lume di candela – Desiderate? –
Chiese una voce profonda e …calda. Giuseppe, impaurito e incuriosito rispose –Cibo e
acqua, veniamo dalla capanna, non abbiamo soldi– La finestra si chiuse… silenzio, e
poi … silenzio … poi il rumore del fiume che impazzava nella parte bassa del paese …
poi freddo. Ad un certo punto però, la finestrella si aprì. Un profumo di pane avvolse i
bambini, e una grande mano infarinata tese dalla fessura dei sacchetti pieni di pane e
una brocca d’acqua. I sacchetti erano caldi, tanto caldi. – G…grazie- disse Giuseppe .
Non vi fu risposta. I bambini stavano per tornare, la neve continuava a cadere e il buio
era oscurità, ma Giuseppe non si trattene – Come mai il suo pane è così buono? – urlò
d’istinto, la finestra si fermò. Silenzio … il fiume in piena … il buio… poi –Fare il pane è
la mia passione; che io sia felice o che sia triste, che ci sia il sole o che ci sia la pioggia,
io faccio il pane, e per farlo bene mi esercito da tutta la vita, ogni singolo giorno,
ogni singola notte. – Giuseppe aveva i brividi, di freddo, di gioia. Tremò – Ma chi sei
tu?- La finestra era quasi chiusa. –Sono una voce. Tu mi hai ascoltato. – Il freddo era
troppo, gli amici tirarono Giuseppe. – Ah, dimenticavo, tornate ho altro pane.- Fecero
avanti e indietro dalla capanna quattro volte. Quando l’ultimo sacchetto fu nelle mani
dei bambini il panettiere disse –. È l’ultimo. Siete amici coraggiosi. Ricordatevi
sempre di restare vicini, non solo stanotte! –
Fu l’ultima volta che Giuseppe sentì parlare il panettiere. La notte gelida, buia e lunga
proseguì, ma i sacchetti di pane caldo avevano rianimato i cuori nella capanna. Quella
notte a Giuseppe parve di aver capito qualcosa di importante, anche se non sapeva
cosa. Dal giorno seguente il maltempo si placò, e iniziò la ricostruzione del paese. Il
panettiere, tuttavia, decise di chiudere per sempre il suo forno, e mai nessuno riuscì a
conoscerlo. Le parole udite quella sera, tuttavia, saziarono Giuseppe più del pane, ed
egli poté crescere insieme ai suoi amici assaporando ogni momento della vita.”
Concluse il maestro.
DRIIIIIIIIN, la campanella suonò; eppure, questa volta, i bambini non volevano scappare
fuori dalla classe per giocare col cellulare dei genitori. “Maestro, ma cosa significa?” chiese
Serena. Tutti stavano ancora ascoltando
incuriositi. “Non lo so. il mio maestro mi raccontò questa storia quando ero un
alunno come voi, e la storia mi piacque molto. In realtà non capii gran ché, ma almeno
una cosa è certa …”. Tutti insieme uscirono dall’aula, ma gli alunni si aspettavano
un’ultima frase, quindi il maestro aggiunse “Ora bambini, sapete come fare un pane
buono”.
Peccato che le supplenze finiscono, ma forse, la fine di un’avventura altro non è che
l’inizio di un’altra?
Un caro saluto ai Maestri Cattolici da Andrea Zanardini,
un ragazzo a cui piace il pane genuino del panettiere, quello caldo …
appena sfornato!
Andrea Zanardini
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