Il piccolo Mela - Ocarina Player
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Il piccolo Mela

Il piccolo Mela

Il piccolo Mela non abitava in una casa come i bambini umani; la sua numerosa
famiglia, infatti, si spostava quasi ogni giorno. Alla sera, gli adulti costruivano delle
tende schioccando le dita; all’alba, le distruggevano battendo le mani.
Al piccolo Mela piaceva girare per Libra, un mondo incantato, pieno di popoli diversi
e tante storie fantastiche: non fermandosi mai in un unico posto, aveva tanti amici e
non si annoiava mai. Una volta aveva conosciuto una tornado, la signora Græ, una
creatura di aria e vento; spesso era di cattivo umore, il suo colore, infatti, passava
dal grigio chiaro al grigio scuro, riempiendosi di fulmini e tuonando come un
temporale. I genitori gli avevano spiegato che la signora Græ era solo molto timida e
spaventata, per questo con lei sapeva di dovere parlare a bassa voce e, soprattutto,
non doveva rincorrerla. Erano diventati, così, inseparabili.
Una sera, mentre camminava mano nella mano della madre, il piccolo Mela udì un
canto lontano. Riconobbe subito le parole accoglienti, il tintinnio delle campanelle, il
tremolio dolce delle corde musicali e il battimano del popolo dei Curatori.
Era arrivato quel giorno dell’anno.
Fino a quel momento aveva marciato nel buio della notte; d’un tratto, però, tanti
piccoli focolai scoppiettanti illuminarono la via principale. Intorno, grandi e piccini
intonavano cori sull’amicizia, scherzando fra loro e salutando gli ospiti. Alcuni
giocavano al girotondo: tenendosi per mano, ruotavano intorno al focolaio; quando
la canzone finiva, tutti si sedevano a terra.
Il piccolo Mela si sentì invaso dalla gioia e dall’eccitazione.
Il freddo dell’aria si riempì del dolce profumo di cioccolato caldo e miele; intorno il
tintinnio delle tazzine fumanti. Sul lato della strada, un uomo versava la cioccolata di
millefiori, tanti giovani Curatori, infine, consegnavano ai passanti la bevanda in
cambio di un sorriso.
Anche il piccolo Mela ricevette in dono la tazza; sorseggiò la cioccolata prima di
tingersi le labbra di marrone, imitando un altro bambino.
I passi soffici sulla neve mutarono per alcuni istanti in colpi di tacco e punta dei
danzatori; ogni mattonella, quando pestata, emetteva un suono diverso. Saltellando,

divertito dalla musica, il piccolo Mela cercò gli occhi della madre: voleva scoprire se
anche lei stesse provando la stessa leggerezza.
Da quando era ancora più piccolo, Mela non si era mai fermato, ma aveva continuato
a camminare per Libra in cerca di una casa. La sua famiglia era considerata diversa,
troppo pericolosa rispetto agli altri popoli. I fugenti come lui facevano paura agli altri
e, per questo, venivano cacciati.
I Curatori, invece, continuavano a invitarli nelle loro città, a condividere il cibo e la
compagnia. Erano creature buone, semplici, contadine, abituate a donare, educate
ad accettare. Erano fra gli abitanti più vecchi di Libra e, forse anche per questo, uno
dei popoli più fragili.
Gli adulti della famiglia dicevano che i Curatori si sarebbero estinti: se nessuno si
fosse preso cura di loro, sarebbero scomparsi. In un battito di ciglia quella allegria
sarebbe andata persa, in uno schiocco di dita non avrebbe più visto nessuno di quegli
amici.
Il piccolo Mela si era sentito triste. Gli piaceva come i Curatori si prendevano cura di
tutti, della terra, degli animali; amava sentirsi accolto nel loro abbraccio e felice.
All’improvviso, il piccolo Mela si sentì pieno di stupore e sorpresa: mai aveva visto
una scena tanto bella. Cuscini di tante forme e colori riempivano la piazza,
diventando comode sedute e posti dove riposare. Appesi alle case, tanti veli
scoppiettavano nel vento, mentre i medaglioni tintinnavano, scivolando uno sull’altro,
come sibili di bisce.
Dei Curatori stavano giocando con il teatro delle ombre. Il piccolo Mela rimase
incantato dalle forme sinuose dei serpenti, dai rami di un albero e dalla pioggia, lo
scroscio dei sassolini e il battimano per ricrearne il suono e lo scorrere del tempo. Lo
spettacolo lo aveva reso felice.
D’un tratto, udì tante risate: un gruppo di bambini si stava avvicinando. Un’anziana,
con tre lunghe trecce, guidava i giovani Curatori; li accompagnò a sedersi intorno al
falò, dove avrebbero cenato.
“Vecchia saggia!”
Gridò il piccolo Mela correndole incontro. La Curatrice sorrise piena di allegria, si
chinò, allargando le braccia; aspettò, così, per coccolarlo.
“Mela, come stai?”

“Vecchia saggia, mi sei mancata tanto!”
“Anche tu, tesoro mio. Siedi con noi.”
Il piccolo Mela sentì l’entusiasmo e la gioia di avere ritrovato un’altra amica. Le
raccontò l’ultimo anno e le presentò Græ, rabbiosa perché era stata disturbata
mentre dormiva nella tasca del giubbotto.
“Perdonala, vecchia saggia, è timida.”
La Curatrice rise di tenerezza.
“È bello avere qualcuno premuroso come te, pronto a difendere un amico.”
Il piccolo Mela sorrise, ma sentì d’improvviso la pancia brontolare; allora, l’anziana
gli donò una ciotola fumante con la cena. Così, mentre mangiava e riempiva la
pancia, tornò la curiosità.
“Vecchia saggia, cosa farò quando voi Curatori non ci sarete più?”
Il piccolo Mela si sentì avvolgere da un abbraccio intenso.
“Sei proprio un angioletto a preoccuparti per noi.”
“Ho paura di perdere degli amici come voi.”
La vecchia saggia lo guardò intenerita, le guance rosse per il freddo, il fiato una
nuvoletta bianca.
“Vieni con me, ho deciso di darti il mio regalo in anticipo.”
Mano nella mano della donna, il piccolo Mela saltellò entusiasta fino all’esterno del
paese; tra una canzoncina e l’altra, si fermò sul margine di un campo a riposo.
La vecchia saggia si inginocchiò nella neve; scavò una piccola buca con il dito indice.
“Aiutami.”
Il piccolo Mela le si sedette accanto, mise le mani a coppa per ricevere un seme; lo
mise a dimora nella buca prima di chiudere il tutto con della terra.
L’anziana lo prese in braccio e lo invitò a chiudere gli occhi. Sentì lontano il coro dei
Curatori, il battimano, le campanelle, il tintinnio della ceramica, il crepitio del fuoco,
ma, d’un tratto, percepì il silenzio e la consapevolezza di essere amato.
“Guarda, Mela!”
Dalla terra erano emerse un paio di piccole foglioline verde acqua.
“Come ci sei riuscita?”
“Le ho spiegato quanto le voglio bene. Desidero vederla crescere, diventare adulta.
Voglio prendermene cura, consolarla quando sarà triste. Desidero ricordarle quanto

sia forte ed esserle amica per sempre. Esserci per qualcuno significa prendersene
cura e dare tutto il bene che si possiede.”
Il piccolo Mela si sentì sorpreso e circondato dalla magia.
La donna lo guardò con dolcezza.
“Quando non ci saremo più, piccolo mio, toccherà a te volere bene e prenderti cura
di questa creatura. Se lo farai nel modo giusto, questa pianta crescerà, diventerà
forte, fiduciosa delle sue capacità e, soprattutto, ti sarà per sempre amica.”
Il piccolo Mela si sentì leggero, come una piuma di uccello: in quella città ci sarebbe
stato per sempre qualcuno ad accoglierlo.
“Grazie, vecchia saggia.”

Di Valeria Grechi

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