Era insolito quell’anno il Natale. Quel 25 Dicembre stava lì sul calendario, colorato di
rosso, per ricordarmi che da lì a qualche giorno una nuova rinascita avrebbe allietato
i nostri cuori, addolcito i nostri animi e donato una nuova speranza alle nostre
aspettative; eppure più guardavo il calendario, più sentivo i giorni scorrere, la pioggia
cadere, più non riuscivo a carpire nell’atmosfera la magia del Natale. Magari
addobbando la casa di simboli natalizi o agghindando l’albero di Natale lo spirito della
festa si sarebbe fatto strada dentro di me, piuttosto era una speranza la mia…
Quando si è bambini si attende il Natale con trepidazione principalmente per la
curiosità di scartare i regali che il buon Babbo Natale opportunamente riesce quasi
sempre ad azzeccare, per prendersi le vacanze dalla scuola e riunirsi con la famiglia
a condividere momenti lieti seduti attorno ad una tavola ben imbandita; Non era il
Natale che era cambiato rispetto a quando ero bambina, non era nemmeno l’età a
farmi sconfinare dall’atmosfera giusta, ero io, soltanto io a non riuscire più a catturare
quel qualcosa di magico nel barlume delle stelle della notte, nelle fiamme calde e
rilucenti del fuoco del camino acceso. Quel pomeriggio della vigilia ero seduta sul
mio divano a leggere l’ultimo romanzo che avevo comprato. La trama era avvincente
e i personaggi mi avevano presa per mano e condotta con loro dentro la scena, ma
c’era qualcosa che in qualche modo riusciva a distrarmi di quando in quando. Alzai
lo sguardo dalle righe che stavo leggendo, guardai la finestra alla mia destra e notai
la forza del vento che si stagliava contro i rami degli alberi. La sera stava calando
lenta e il cielo all’imbrunire veniva tracciato da quelle strane ragnatele tessute dai
rami ormai spogli dei ciliegi, che si animavano come se avessero preso vita umana.
Stranamente quello scenario così reale, ma al tempo stesso fantastico e grandioso
mi aveva catturata, riportandomi indietro nel tempo quando credevo ancora che i
folletti fossero gli abitanti del bosco, che gli gnomi sbucassero fuori dai funghi e che
magari Babbo Natale viaggiasse su una slitta trainata da renne volanti per i cieli del
mondo.
Ebbi l’istinto di uscire. Chiusi il libro e lo riposi nella libreria. Non sapevo dove i miei
passi mi avessero diretta, ma mi rendevo conto di voler prendere parte anche io di
quel mondo che si muoveva fuori dalla mia immobilità. L’aria era insolitamente
tiepida, ma il vento così forte da farmi quasi mancare il respiro; le raffiche di vento
creavano piccoli vortici che risucchiavano le foglie secche a qualche decina di
centimetri da terra. Qualcuna si librava leggera per aria, elevandosi sopra la mia testa
e non so perché ma tutto ciò mi piaceva, mi faceva stare bene, finalmente mi sentivo
in sintonia con quello che mi stava intorno, mi sentivo viva.
All’improvviso un fulmine squarciò il cielo e una pioggia fitta mi sorprese alla
sprovvista. Cercai un rifugio, ma gli alberi senza le loro fronde non erano un ottimo
riparo. Vidi in lontananza una piccola casetta con una finestra illuminata e il
comignolo fumante. Mi spinsi fino a lì e provai a bussare alla porta, mentre i miei
vestiti diventavano fradici e l’umidità penetrava gradualmente nelle mie ossa.
Apparve alla porta, dopo pochi istanti che sembrarono infiniti, una vecchietta piccina
e paffutella, con i capelli bianchi bianchi come il latte, legati in una treccia. Io accennai
un saluto mentre tremavo dal freddo, lei mi guardò con sguardo deciso e mi disse
con tono tra serio e faceto: < Che ci fai ancora lì bambina? Entra! >
Non me lo feci ripetere due volte. Entrai in quella stanza piccola ed accogliente,
illuminata principalmente dalla luce emanata da quelle grandi fiamme che si
muovevano dentro al camino e mi lasciai andare a quel senso di benessere che mi
dava quell’ambiente che sapeva di casa, di cotto, di antico, sapeva di calore, di fiabe
della nonna e di famiglia.
Rimasi in piedi, con la porta chiusa alle spalle, a guardarmi intorno e ringraziai
l’anziana signora per l’accoglienza che mi aveva riservato.
< Su, non stare imbambolata lì, vieni a sederti vicino al camino o ti verrà un malanno
>.
Non feci in tempo a fare due passi verso la panca di legno affiancata al grande
caminetto in pietra che lei mi tolse il giubbotto inzuppato di pioggia e mi posò sulle
spalle uno scialle di lana. Mi feci abbracciare dalla morbidezza e dal profumo che
quell’indumento emanava e dalle fiamme del focolare che davano ristoro alla mia
mente e al mio corpo; mi sedetti e fui io stavolta a fare una domanda all’anziana
signora: < Perché sta facendo tutto questo per me? > le chiesi.
< Oh bambina, tu forse non mi riconosci, sono vecchia, ma sono sempre stata qui.
Non mi hai mai cercata, però so che adesso che mi hai ritrovata non ti dimenticherai
più di me >.
Non sapevo se quelle parole mi avessero lasciata perplessa o confortata o forse
entrambe insieme, ma sapevo di sentirmi a casa, in pace con me stessa e in
compagnia di un’anima buona, caritatevole e soprattutto familiare.
Mi preparò una tazza di buon cioccolato fumante e me la mise tra le mani, mentre mi
accarezzava i capelli, che con il calore emanato dal camino si erano asciugati. Non
sarei mai andata via da quel posto, però improvvisamente ricordai in che giorno ci
trovavamo.
< Che ore sono? > chiesi < il mio orologio con l’acqua si è fermato > continuai.
< A cosa serve a me un orologio > mi rispose sorridendo l’anziana signora < io so
sempre quando è tempo di venire e quando è tempo di andare >.
Anche questa risposta fu alquanto singolare. Cominciai a pensare che quella
vecchina si stesse prendendo gioco di me, ma poi riflettei che era improbabile visto
come si era comportata, oppure che la sua testa cominciasse a giocarle brutti
scherzi.
< E’ la vigilia di Natale signora e io devo tornare subito a casa! Mi starò perdendo
tutti i preparativi e i parenti riuniti > poi riflettei ancora < ma lei non festeggia il Natale?
Vive da sola? > continuai a chiederle.
< Io sono l’anima della festa bambina; vivo con chi come te si ricorda ogni tanto di
venirmi a cercare. Adesso che ti sei asciugata va e non dimenticarti più di questa
povera vecchia che ti ha accolta >
La guardai negli occhi e l’abbracciai. Il suo odore mi riportò indietro nel tempo;
sapeva di dolce, di campi di fiori, sapeva di nonna. Mi salutò con un sorriso ed io feci
lo stesso, mi chiusi la porta alle spalle e sentii il mio cuore palpitare. Da quanto tempo
era che non lo sentivo, che la speranza non mi albergava nell’anima!
Feci un paio di passi in direzione di casa, mi girai e non vidi più la casetta con il
comignolo fumante. Alzai gli occhi al cielo e mi sembrò di vedere una scia luminosa
in lontananza, una stella cadente forse o piuttosto qualcosa che somigliava più ad
una slitta con delle renne – sono io la matta – pensai.
Capii a quel punto che quell’amabile vecchina non era altri che la magia del Natale
che ero riuscita a ritrovare.
Ivana Infantino
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