Nel remoto villaggio di Bruma, dove persino l’aria sembra aver dimenticato come
volteggiare, le case si stringono l’una all’altra come vecchie signore infreddolite. Il
grigiore del cielo, ostinato come una macchia indelebile, ha divorato ogni ricordo di
colore, lasciando dietro di sé solo l’eco sbiadita di ciò che un tempo era vita.
In una di queste dimore, una piccola abitazione dal camino sempre tiepido, vive il
giovane Milo con sua nonna, una donna dalle mani gentili e dagli occhi che brillano
come stelle in un cielo d’inverno. Le sue storie sono l’unica luce in questo mondo di
ombre. Racconti di un tempo in cui il Natale era più di una parola sussurrata con
nostalgia.
«Vedi, piccolo mio», mormora la nonna una sera, mentre il crepitio delle fiamme del
camino riempie la stanza di un suono rassicurante, «il mondo non è sempre stato così».
Le sue dita nodose estraggono qualcosa dalla tasca del grembiule: un ciondolo di
cristallo, piccolo come una lacrima di luna. «Questo», prosegue con voce ruvida come
la corteccia di un vecchio albero, «custodisce il segreto dell’Ultima Fiamma. Una luce
così pura da poter risvegliare la foresta dal suo lungo sonno». Gli occhi della donna si
velano di mistero. «Ma ricorda: può essere accesa una volta sola, nel momento
perfetto».
Il bambino stringe il cristallo nel palmo, sentendone il peso leggero eppure così
significativo. Le domande gli si affollano sulle labbra, pronte a esplodere come piccoli
fuochi d’artificio, ma la nonna le ferma con un sorriso, sapendo che alcune risposte
devono essere scoperte da soli.
I giorni scivolano via, grigi come la cenere, finché una sera il destino bussa alla porta
di Milo con dita fatte di luce. Mentre infatti esplora i confini della foresta morta, dove gli
alberi sono poco più che spettrali scheletri contorti, una luminescenza tremolante
cattura il suo sguardo.
Tra le ombre, una figura si materializza: una lanterna vivente che diffonde una luce
tenue e tremolante. È Lumen, una creatura che emana un dolce calore, come una
candela protetta dal vento.
«Sono un viaggiatore», si presenta con voce gentile, «alla ricerca di qualcosa di
prezioso nascosto in questa foresta. Se mi aiuterai», aggiunge con un sorriso
accogliente, «potrei insegnarti alcuni dei miei trucchi con la luce e il fuoco».
Milo, affascinato da quella presenza luminosa in un mondo tanto grigio, accetta senza
esitazione. Le giornate che seguono sono un arcobaleno di meraviglie. Sotto la guida
di Lumen, Milo impara a risvegliare piccole scintille di magia. Case un tempo buie si
illuminano di tepore, volti stanchi si aprono in sorrisi dimenticati, e persino la terra
sembra risvegliarsi dal suo letargo, con timidi germogli che fanno capolino tra le crepe
del suolo.
La nonna osserva questi cambiamenti con occhi pensierosi. Una sera, mentre Milo
racconta entusiasta delle sue avventure con il nuovo amico, le sue parole cadono
pesanti come pietre in uno stagno: «Le luci più brillanti, mio piccolo, talvolta
nascondono le ombre più profonde».
Ma il giovane, avvolto nel caldo abbraccio della speranza ritrovata, non coglie
l’avvertimento nascosto in quelle parole. È convinto che Lumen sia la chiave per
riportare la luce dimenticata del Natale al villaggio.
Il destino sceglie i propri momenti con la precisione di un orologiaio, e così accade in
una mattina velata di nebbia, quando Milo e Lumen, si stanno avventurando in una
radura nascosta tra gli alberi morti. Qui, dimenticato dal tempo, si erge un altare di
pietra antica. Le sue incisioni consunte sono così simili alle rughe sulla pelle di un
anziano.
Il cristallo al collo del giovane prende vita all’improvviso, pulsando con la delicatezza
di un cuore appena nato. Nel medesimo istante, la luce che emana Lumen cambia,
assumendo una tonalità fredda, metallica, come il bagliore del ghiaccio sotto la luna.
«Finalmente», la voce dell’essere luminoso non è più melodiosa, ma tagliente e piena
di avidità. «L’Ultima Fiamma. La mia eternità».
Una mano fatta di luce si protende verso il cristallo, ma non è più il gesto gentile di un
amico. «Consegnami ciò che mi appartiene, piccolo sciocco. Con quel potere non
dovrò mai più temere di spegnermi».
Il mondo di Milo si capovolge come una clessidra. Ogni sorriso condiviso, ogni
momento di magia vissuto insieme assumono improvvisamente un nuovo, terribile
significato. Le parole della nonna ritornano, chiare come campane nel silenzio: le luci
più brillanti nascondono le ombre più profonde.
«No», la voce del ragazzo trema, ma non cede. «La luce non è fatta per essere
imprigionata. Non è questo il suo scopo».
La risata di Lumen è a dir poco maligna. «Lo scopo? Credi davvero che la luce abbia
uno scopo oltre la propria gloria? Ho vagato per secoli, alimentandomi di ogni scintilla
di vita che trovavo, e ora che sono così vicino…»
Ma Milo non indietreggia. Nel suo cuore, qualcosa di più forte della paura prende forma.
«Hai mai provato», domanda con voce calma, «a fermarti? A condividere la tua luce
invece di rubare quella degli altri?»
Le parole feriscono Lumen che nonostante tutto aveva imparato a condividere
qualcosa di sé una volta arrivato a Bruma. La sua forma luminosa vacilla, incerta.
«Un posto dove appartenere», sussurra il ragazzo, tendendo una mano. «È questo che
cerchi, vero?»
In quell’istante di perfetta comprensione, il cristallo esplode in un bagliore che inonda
la radura. L’Ultima Fiamma si accende non per il potere di chi la brama, ma per la forza
di chi sceglie di donare invece di prendere.
La luce si espande come un’onda di vita: gli alberi morti si rivestono di foglie, i fiori
sbocciano come se i secondi fossero giorni, e l’aria stessa sembra cantare una melodia
dimenticata. Nel villaggio di Bruma, le persone escono dalle case, con occhi pieni di
meraviglia e cuori che ricordano come battere di gioia.
Lumen, creatura di luce eterna eppure così sola, scopre che la vera immortalità non
risiede nel brillare più forte, ma nel diventare parte di qualcosa più grande di sé.
E così, quando la neve inizia a cadere dolcemente sulla foresta rinata, il villaggio
celebra il suo primo vero Natale dopo tanto tempo. Non con doni avvolti in carta
luccicante, ma con la gioia semplice di cuori che hanno imparato a brillare insieme.
La nonna di Milo, seduta accanto al camino con una tazza di tè fumante tra le mani,
sorride osservando il nipote e la sua nuova famiglia allargata: «Vedi», mormora, più a
sé stessa che agli altri, «la vera magia non sta nel possedere la luce, ma nel diventare
luce per gli altri».
E così, nel villaggio di Bruma, dove un tempo regnava l’oscurità, ora brilla una fiamma
che nessun inverno potrà mai spegnere: quella dell’accoglienza, della condivisione, e
di un’amicizia che ha trasformato persino le ombre più nere in una esplosione di colori.
Di Fabio Cavalchi