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Racconti di Natale. Il mio Natale più bello

Racconti di Natale. Il mio Natale più bello

Natale per i calabresi è la festa più importante dell’anno. Anche se durante
tutto l’anno lavorano lontano per Natale ritornano nelle loro case per
trascorrere le feste in famiglia. E così fecero Nicola e Pasquale, due fratelli
che tutto l’anno lavoravano in montagna a fare i carbonai. Il mestiere dei
carbonai è un mestiere duro e faticoso. Devi stare sempre all’erta
altrimenti il fuoco potrebbe distruggerti in un baleno il lavoro di una
settimana. Ma per Natale i due fratelli decisero di sospendere il lavoro e
fecero ritorno nella loro casa, calda e accogliente, dove la mamma aveva
acceso il focolare e aspettava che i figli le portassero un agnello o un
capretto per poterlo arrostire. Infatti avevano portato un agnellino di tre
mesi, doveva servire per la cena di mezzanotte. Il paese era tutto
illuminato, in piazza ardeva la “focarata” che i ragazzi avevano preparato
da diverse settimane, le casette attaccate le une alle altre con una scalinata
esterna erano illuminate e dai comignoli nuvole di fumo si addensavano
sui tetti e spandevano per l’aria un profumo di fritti e di arrosto che fece
venire l’acquolina in bocca ai due fratelli. Era festa ovunque. In ogni casa,
intorno ad ogni ceppo scoppiettante, lassù a Monte Cocuzzo, laggiù a
Cannavina. Si udivano canti, suoni di zampogne, gridi di fanciulli,
imprecazioni di giocatori incalliti che giocavano a carte “a patrune e sutta”
nelle cantine, fredde, umide e affumicate del borgo e le vie erano deserte
nella rigida sera.
Appena arrivati nelle vicinanze dell’abitazione Nicola, il più piccolo dei
fratelli, fece un lungo fischio, come per dire, stiamo arrivando. Dalla
casupola vicina si aprì una porta e comparve una bella fanciulla e corse
subito ad abbracciare Nicola.
– Ciao Nicola. Ben tornato a casa. Buon Natale -.
– Ciao Maria – e si avvicinò alla porta della sua casetta e vide che il
fuoco del focolare era spento e che sulla tavola sparecchiata non
c’era nulla da mangiare.
Domandò Maria – Cosa porti in quella bisaccia? Ah, un bell’agnellino da
arrostire questa sera per poi mangiarlo dopo la Messa di mezzanotte.
Farete festa voi, ma anche noi faremo festa, papà è uscito ed è andato a
comprare qualche cosa da mangiare-. E senza aggiungere altro gli chiuse la
porta in faccia.
Nicola, sbalordito e incredulo, entrò a casa sua, dove davvero c’era già aria
di festa. Bottiglie di vino, di spumante, di moscato erano sulla tavola già
apparecchiata. E piatti pieni di turdilli, scalille, ciccitielli, grispelle e
cullurielli. Le sorelline erano vestite a festa, sola la madre, poveretta,
vedova da più di due anni, era vestita tutto di nero. Quel vestito nero non
lo avrebbe mai più tolto. Lo avrebbe portato per tutta la vita. Nicola trasse
l’agnellino già scuoiato e tutto pieno di sangue rattrappito e lo consegnò
alla madre. Pensava:- Ma che festa potranno fare i nostri vicini di casa se
anche la sera di Natale il loro focolare è spento e sulla tavola non c’è
proprio nulla? Cosa mangeranno questa sera quando nelle altre case si
mangia e si beve? Non hanno nulla, neppure un coniglio, una pollastrella,
una pitta di pane!- Con questi pensieri si lavò, si vestì a festa indossando
un pantalone e giacca marrone di fustagno che il sarto del paese, mastro
Benedetto, gli aveva confezionato la primavera scorsa e si sedette vicino
agli altri riuniti intorno al focolare che cantavano e bevevano. Fuori faceva
freddo, era incominciato a nevicare. Le campane della Chiesa di San
Bartolomeo Apostolo suonavano, la Santa Messa stava per incominciare.
– L’altra metà dell’agnello la porterai in regalo ai nostri vicini di casa –
disse la mamma a Nicola -. Anche loro devono fare festa. E’ Natale
anche per loro-.
Nicola, contentissimo, abbracciò la mamma e si precipitò in casa di Maria.
Il paese che prima era deserto ora brulicava di tante persone. Avevano
abbandonato le case e si recavano in chiesa ad ascoltare la Santa Messa di
mezzanotte. Prima c’era silenzio, da lontano si sentiva il suono di qualche
zampogna, ora, invece si sentivano canti e suoni e il fuoco della “focarata”
in Piazza Margherita scoppiettava e fumava. Solo nella casetta del vicino
c’era silenzio. La luce era finanche spenta. Nicola entrò senza neppure
bussare e vide le sorelline di Maria accovacciate intorno al focolare spento.
Parevano si fossero addormentate. Maria che era nella stanzetta di sopra
scese di corsa, afferrò il dono che aveva portato Nicola e lo ringraziò. –
Ora vai via, vai a Messa, vai dai tuoi, noi non abbiamo bisogno di aiuto,
vattene!-Nicola se ne andò senza profferire parola, dalla sua bocca non
uscì neppure una vocale. Era frastornato. Ma perché Maria lo ha mandato
via? Perché si è comportata in quel modo? Ritornò a casa e non disse nulla
a sua madre. In quella casa c’era festa e gioia, e in quella di Maria? Solo
desolazione e miseria. Ma non era Natale anche per loro? Andarono tutti
ad ascoltare la Santa Messa, solo la madre di Nicola rimase a casa, doveva
girare gli spiedini per fare arrostire per bene la carne dell’agnello.
Rientrarono tutti in casa dopo aver ascoltato la Santa Messa di mezzanotte
celebrata dal Parroco Don Gabriele Muti, dopo essersi fermati per qualche
minuto intorno alla “focarata” e dopo aver bevuto un bicchiere di vino
nell’osteria del compare Alberto Miraglia. I ragazzini, impertinenti,
sparavano i tric trac e buttavano nella “focarata” le “bombicelle”.
Facevano un rumore assordante e le braci ardenti, mosse dalle
“bombicelle” cadevano sulla gente che gridava e rideva perché, comare
Carolina che era venuta a prendere delle braci per il suo braciere, si era
bruciata “la natura”. Nicola se ne stava muto seduto accanto alla madre.
Mangiava tutto, ma controvoglia. L’agnello arrosto, le patatine, l’insalata,
le frittelle, i cullurielli. Beveva più del solito, il vino di Cannavina era
davvero un ottimo vino. I discorsi che facevano, però, non lo interessavano
più. Pensava solamente ai suoi vicini di casa, a Maria che per due volte gli
aveva sbattuto la porta in faccia e gli aveva ordinato di andare via senza
una spiegazione. Ma il padre di Maria era rientrato in casa? Aveva portato
qualcosa da mangiare? Aveva portato qualche dono? Nicola uscì nel cortile
ormai coperto di una neve bianca e morbida e si avvicinò senza fare
nessun rumore alla porta di casa di Maria tutta sgangherata e da una larga
fessura incominciò ad origliare e ad osservare. Vide Maria, le sorelline e il
papà seduti intorno al focolare ora acceso e l’agnello che arrostiva nello
spiedo. Entra Nicola. Stiamo arrostendo l’agnello. Grazie a te anche noi in
questa notte santa facciamo festa. Anche per noi è festa. E’ davvero un
Natale bello. Ma il padre di Maria aveva portato qualche regalo? E
dov’era? -Vieni avanti, Nicola, non aver paura-. Nicola entrò e vide seduto
in una sedia scalcinata un uomo con la barba lunga e avvolto in un vecchio
pastrano militare grigio verde tutto sbrandellato, diventato cineree per
l’uso. – E’ nonno Ciccio, che si era perso ed ora è ritornato in vita. Papà
l’ha trovato sotto il ponte del Vallone e lo ha ripotato in casa. Lo ha trovato
precisamente mentre le campane della chiesa di San Bartolomeo
suonavano a festa e il coro intonava “Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e
pace agli uomini amati dal Signore-. Non andrà più via, resterà sempre con
noi. Ecco il regalo più bello che ho ricevuto, disse Maria. Ecco il dono che
Gesù, il Bambino appena nato in una misera mangiatoia, ci ha voluto fare
in questa notte santa-.

Di Francesco Gagliardi

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