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Una lupa, un Natale

Una lupa, un Natale

In una notte di Natale di tanti anni fa, una lupa stava cercando riparo dalla
tempesta.
Sembrava che il vento gelido avesse reso il suo manto ancora più folto, più fitto.
Aveva la pancia bianca, le orecchie e la testa dello stesso colore delle foglie in
autunno, gli occhi scuri con piccole faville gialle, somiglianti alle stelle.
Era un animale giovane e veloce ma adesso la stanchezza la faceva incedere più
lentamente.
Lasciava impronte sulla neve fresca e il suo cammino era lento, ondeggiante.
Si era fermata sotto il grande faggio per riprendere le forze, accucciandosi al
freddo.
Le gelide notti invernali non le avevano mai fatto paura ma adesso sognava un
giaciglio diverso, una tana più calda e accogliente; aveva provato ad entrare in
quella scavata dal tasso, che dormiva tranquillo, circondato dai suoi familiari.
E poi aveva tentato con la tana della volpe argentata, portandole in dono due
topolini per cena. Ma la volpe era piccola e occupava giù tutto lo spazio, nell’incavo
del tronco del vecchio albero.
Non c’era posto da nessuna parte, tra i ripari che lei conosceva.
Di avventurarsi sul sentiero scosceso che saliva più in alto, la lupa non si sentiva.
Sopra di lei il cielo era pieno di stelle come accade, talvolta, nelle notti più fredde.
Così, facendosi un po’ di coraggio e cercando di dimenticare gli insegnamenti del
branco, era scesa giù in basso, verso le case degli uomini.
Aveva evitato la prima, dove sapeva che era meglio non soffermarsi.
Ed era arrivata ai confini del villaggio minuscolo, ormai quasi disabitato.
Sei case in tutto, ed una sola era illuminata da dentro.
Alla finestra aveva scorto un’ombra, una sagoma piccola, un bambino che
guardava la neve cadere. Aveva il berretto, anche se stava in casa, perché forse
era appena tornato. La lupa lo osservava, nascosta a metà dal nero cespuglio,
un’ombra nera sulla casetta di pietre. Era così stanca che sentiva le zampe cedere,
gli occhi le si chiudevano e ogni cosa intorno la invitava al riposo.
Era sicura che il bambino l’avesse vista, oltre il vetro, nel buio di quella notte
invernale.
Lui avrebbe potuto chiamare il padre e la madre ma invece era rimasto in silenzio ,
aprendo la bocca non per parlare ma solo per la meraviglia che gli imporporava le
guance.
La lupa si era accucciata sulle fascine di legna, accanto alla casa, un po’ discosta
dalla vista di lui e, tuttavia, sempre presente.
Sentivano ognuno la presenza dell’altro.
Lei, stanca ed infreddolita nonostante il folto pelo invernale, era sprofondata in un
sonno pieno di sogni agitati. Il bambino aveva atteso che i grandi andassero a
riposare, dopo aver messo Gesù bambino nella capanna, con gesti lentissimi, quasi
fosse davvero un neonato, per non svegliarlo.
Dal suo letto con le coperte colorate a rombi, che aveva fatto la nonna, era rimasto
in ascolto, silenziosissimo, aspettando che dormissero tutti i rumori.
Poi, come un ladro, come una piuma, era andato a piedi nudi in cucina e aperto le
imposte della credenza. A tentoni, senza accendere la luce, ricordando a memoria
dove stava il pan biscotto che lui e suo padre mangiavano per colazione.
Ne aveva preso una quantità grande, troppo grande per le sue mani piccole e lo
aveva stretto forte, mentre oltrepassava il confine tra la casa ed il mondo di fuori.
La lupa dormiva profondamente. Anzi, in quel silenzio perfetto, senza nessun
rumore a turbare la quiete, il bambino aveva sentito nitidamente il suo respiro
pesante, quasi come quello di una persona. “Anche la lupa russa come il nonno-
aveva pensato. Poi era stato incerto se sbriciolare i pezzi di pane o lasciarli intatti,
così che l’animale potesse sgranocchiarli la mattina seguente.
“La lupa ha buoni denti- aveva pensato. E poi le briciole le mangiano gli uccellini-
perché ,nella fiaba che aveva letto alla sera, succedeva cosi. E anche nella realtà.
Finalmente era andato a dormire e si era assopito felice, in un dormiveglia dolce,
cullato dal lontano, profondo respiro dell’animale.
Il giorno dopo la lupa non c’era più. Anche il pan biscotto era sparito.
Restavano le fascine smosse, in disordine. Ma era una cosa impercettibile, per chi
non sapeva, per chi non aveva assistito a quel piccolo miracolo, in una notte
stellata d’inverno.

Di Ilaria Colasanti

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