Nel lontano paesino di Confetto, c’era una volta una cappelleria. La proprietaria era Sofia, una
ragazza molto precisa ed elegante che aveva avuto la passione per i cappelli sin da quando era
bambina. I suoi erano i più belli e variegati di tutto il paese: di paglia, di lana, di feltro, grandi,
piccoli, stravaganti o seriosi. Chiunque passasse davanti alla vetrina del suo negozio non poteva non
soffermarsi ad ammirare una tale esplosione di bellezza e raffinatezza.
Sofia viveva in una casina non molto distante dalla cappelleria insieme alla cagnolina Margot e al
gattone rossiccio Osti, i suoi più fedeli amici. Quando Sofia era al lavoro, se ne stavano nel
negozietto per tutto il tempo a sonnecchiare comodamente nelle loro cucce, e non si erano mai
sognati di imparare l’arte del cucito.
Mancava poco a Natale e Sofia, come tutti gli anni, era alle prese con i regali.
“Accipicchia! Ho tantissimo lavoro da sbrigare. La figlia del sindaco mi ha ordinato un cappello in
seta da foderare con taffetà giallo per il grande pranzo del venticinque!”
“Miao?” disse Osti dalla sua comoda poltrona rossa. “Miao?”
Sofia si avvicinò per dargli una carezza.
“Hai ragione, Osti. Devo sbrigarmi se voglio finire in tempo.”
Anche la cagnolina Margot voleva dire la sua.
“Bau! Bau! Bau!”
“Si Margot, lo so che tu e Osti non siete bravi a cucire, altrimenti mi avreste di certo dato una mano
a finire i regali.”
Sofia quel giorno lavorò senza tregua finché c’era luce. Ritagliò le stoffe più pregiate e le cucì
seguendo attentamente i ricami dei tessuti. Per gli ornamenti utilizzò nastri di seta e fiocchi con
decori a rose e viole. Ovunque c’erano rotoli di filo, aghi, forbici, minuscoli scampoli e striscioline
di stoffa sparpagliate sul tavolo.
Giunse la sera, e i fiocchi di neve coprirono completamente i vetri della finestra che dava sulla
strada. Sofia si alzò dalla scrivania per ripulirli, e ne approfittò per soffermarsi ad osservare il via
vai delle persone che camminavano felici sotto un mare di luci e lampioni.
“Quanto è bello il Natale!”, pensò, “ É di sicuro il periodo dell’anno che preferisco.”
Poi, guardò l’orologio.
“Accidenti com’è tardi! Sarà meglio andare.
Uscì dalla bottega, serrò la porta e andò a casa insieme ai suoi fedeli animali. Mentre camminava, la
sua mente pensava a tutto quello che avrebbe dovuto ancora fare, a quale stoffa sarebbe stata più
adatta per quel cappello, quale invece per quell’altro e così via.
Di notte nella bottega non rimaneva nessuno, tranne tre simpatici topini che vivevano dietro i
pannelli di legno delle pareti e in minuscoli passaggi segreti.
Tutte le volte che provavano a uscire, Osti li dava la caccia e li inseguiva per tutto il negozio.
“Miao! Ora vi prendo!”
Allora i topolini se la filavano a gambe levate.
“Aiuto! Aiuto! Aiuto!”
Il gatto li rincorreva dappertutto, sotto al tavolo, fra i gomitoli di lana, fra le stoffe, sopra alle teste
dei manichini, in mezzo ai ditali rovesciati sul pavimento!
Ma per un pelo, i topolini riuscivano sempre a nascondersi nel loro buchetto scavato sul muro.
Oramai erano di casa nel negozietto, e non appena si trovavano da soli, sgattaiolavano fuori dai loro
nascondigli per andare a mangiare i pezzetti di formaggio che Sofia, senza farsi vedere da Osti,
lasciava appositamente per loro sul davanzale della finestra.
“Squit, squit…, questo formaggio è davvero delizioso,” disse Gaspare leccandosi i baffi.
Arrivarono anche i fratellini, Ugo e Titta.
Tip, tap, tip, tap, tip, tap!
“Non mangiarlo tutto te! Lasciane un po’ anche a noi! Squit, squit.”
A forza di vedere Sofia fabbricare cappelli avevano appreso perfettamente l’arte del mestiere,
divertendosi a farne di dimensioni molto più piccole con gli avanzi di stoffa sparpagliati sul tavolo.
La vigilia di Natale Sofia aprì la bottega molto presto per finire i regali ordinati. Si era svegliata con
un gran mal di testa e aveva anche qualche linea di febbre.
“Ci mancava solo che mi ammalassi, ho così tanto lavoro da sbrigare!”
Prese ago e filo e si mise subito al tavolo. Ma poco dopo la febbre salì e cominciò a tossire e
starnutire.
“Ecciù! ecciù! Ecciù!”
Sofia era disperata.
“La figlia del sindaco verrà domattina alle dodici in punto a prendere il suo cappello, in più devo
ancora rifinire quello della vicina, cucire i nastri di seta per il cappello della signora Rosa,
confezionare fiocchi di satin! Ahimè…, non posso di certo tornare a casa!”
Continuò a lavorare fino a quando si sentì così priva di forze che il rotolo di lana le scivolò dalle
mani e si addormentò sulla sedia.
Che ne sarebbe stato dei regali di Natale?
Osti e Margot, che avevano visto tutto, balzarono giù dalle loro cucce calde e si accovacciarono
accanto alla loro padroncina.
Margot era molto triste e le leccava il viso.
“Povera Sofia, è davvero molto malata e non riuscirà a finire in tempo tutti i regali.”
Osti fece un salto sul tavolo e miagolò una proposta.
“Cosa ne dici di finire noi il lavoro?”
“Sarebbe un’ ottima idea! C’è solo un piccolo problema Osti, noi non sappiamo cucire!”
Il gatto fece una smorfia.
“Miao, non preoccuparti amica mia. Sarà un gioco da gatti! Se lo hanno imparato i topi lo
impareremo anche noi!”
Margot era un pò titubante, ma si lasciò convincere dal suo compare.
“Bau, del resto non abbiamo altra scelta, i tempi stringono, bau!”
Sul tavolo c’era un cesto pieno di rotoli di filo, forbici, nastri, porta aghi e spille da balia e gomitoli
di lana. Con un balzo Osti saltò su, e con la zampetta incominciò a fare rotolare i gomitoli sul
tavolo, come se ci stesse giocherellando.
“Miao, adesso ci faccio un bel cappellino, miao.”
Ma in quattro e quattr’otto, si ritrovò tutto aggrovigliato nel filo, con la roba del cestino sparsa qua e
là sul tavolo.
“Miao! Miao! Miao!”
La piccola Margot non navigava in acque migliori. Si era proposta di rifinire il cappello di seta da
foderare in taffetà giallo per la figlia del sindaco, ma ahimè…, il filato si era tutto accumulato nella
bobina della macchina da cucire e in più, era inciampata sul filo lasciando cadere le stoffe e I
ronchetti di filo sul pavimento.
“Bau! Bau! Ho combinato un disastro! Bau!”
Per quanto le loro intenzioni fossero buone, i nostri piccoli amici non erano proprio portati per la
sartoria, anzi, avevano creato solo una gran confusione! Margot aveva oramai perso le speranze, ma
ancora una volta Osti miagolò una soluzione.
“Non ci resta che rivolgerci ai topi. Sono ottimi sarti, chiederò aiuto a loro.”
“Ai topi? Ma sei impazzito Osti? Non appena ti vedranno scapperanno via come fulmini!”
“Non possiamo fare altrimenti. Fidati di me, saprò come convincerli.”
Il gatto si avvicinò alla piccola fessura sul muro e sbirciò dentro. Era molto buio, ma riuscì a
scorgere dei piccoli occhiettini rossi.
“Ho bisogno di parlare con voi,” miagolò Osti con tono deciso.
Dal buio si sentì uno squittire di vocine che borbottavano e parlottavano.
“Che cosa vuoi gattaccio? Vattene!”
“Sono venuto a concedervi una tregua di Natale. Sofia sta male e ha ancora molto lavoro da fare. Ha
bisogno del vostro aiuto per finire le ultime consegne del venticinque.”
Gaspare prese la parola.
“E io dovrei crederti forse? Chi me lo dice che non sei qua per farti un bello spezzatino di topi?”
“Se non mi credi, allora peggio per te! La figlia del sindaco sarà così arrabbiata se non avrà il suo
cappello, che farà chiudere la bottega e tu non avrai più una casa!”
Allora i topolini, veloci, velocissimi, andarono a sbirciare dal loro buchetto. La povera Sofia stava
lì, priva di forze e pallida come uno straccio.
“Poverina! Allora il gatto diceva la verità”.. Squittì Titta.. “Del resto Sofia è sempre stata gentile a
lasciarci il formaggio sulla finestra e io sarò felice di aiutarla!”
“Anche io!” Gridò Ugo.
Anche Gaspare, in fondo, era molto affezionato a Sofia. Conosceva il suo nemico, ma Sofia era
veramente semi svenuta sulla sedia e forse le intenzioni di Osti questa volta erano buone.
“Possiamo anche pensare di aiutarti. Ma prima, dovrai negoziare con noi. Promettimi che d’ora in
poi ci lascerai gironzolare per la bottega e non ci darai mai più la caccia.”
“Mai più? Così chiedi troppo brutto topaccio! Io avevo parlato di una tregua!”
Margot si avvicinò a Osti e gli mise una zampa sulla schiena.
“Coraggio, Osti. Metti da parte il tuo orgoglio felino e accetta la proposta. Fallo per Sofia, in fin
dei conti siamo a Natale e magari, scoprirai che essere amici dei topi non è poi così male.”
Osti rimase un attimo in silenzio. Di certo le condizioni di Gaspare lo lasciavano perplesso, ma
mancavano poche ore al venticinque e senza l’aiuto dei topini non sarebbero mai riusciti a finire
tutti i regali in tempo. Perciò, si mise la zampa sul petto e miagolò:
“Hai la mia parola di gatto.”
I tre topini presero ago e filo e iniziarono subito a lavorare.
“Avanti, dobbiamo fare in fretta!” squittì Ugo.
Tagliarono, cucirono e ricamarono senza un attimo di tregua. Titta dirigeva i lavori e aveva dato a
Osti il compito di cercare stoffe e merletti e a Margot quello di raccogliere tutti gli scampoli che si
accumulavano sul pavimento.
Nella stanza era tutto uno zic-zac di forbici e snip-snip di fili.
“Ci vuole ancora un po’ di nastro! Osti, vai a prendere del nastro rosso nel cassetto!”
“Il pizzo ricamato in seta è pronto!”
“Questo cappello è tagliato troppo in sbieco!”
Lavorarano intensamente tutta la notte. Il paesino di Confetto dormiva profondamente sotto la neve,
le finestre erano buie e le case mute. Solo il negozietto di Sofia risplendeva di una luce soffusa.
Chiunque si fosse affacciato alla finestra in quella notte di Natale, avrebbe potuto vedere che era
piena di candele accese.
La mattina del venticinque Sofia fu svegliata da un forte bussare della porta.
“Sofia! Sofia! Il mio cappello in taffetà giallo! Il mio cappello in taffetà giallo!”
Sofia, ancora assonnata e senza forze, guardò l’orologio.
“Ohimè! É mezzogiorno, e la figlia del sindaco è già qua, ma il suo cappello di seta…non c’è!
Povera me!”
Si alzò e andò verso la porta con i fazzoletti che le cadevano da tutte le parti e il naso che colava.
“Che figuraccia! Perderò il lavoro e la fiducia dei miei clienti!”
Osti la precedette di corsa. Soffiava e a miagolava come non aveva mai fatto prima.
“Accidenti, Osti. Così rischi di farmi cadere!”
E Margot guaiva a squarciagola.
“Lo so amici che siete tanto dispiaciuti. Ma cercheremo di rimediare! Ve lo prometto!”
Stava per aprire la porta, quando ecco… la sorpresa più grande!
”Oh, che gioia! Ma è un miracolo di Natale!” gridò felice come non lo era mai stata. Là dove aveva
lasciato dei semplici tagli di stoffa, ora c’erano i più meravigliosi e raffinati cappelli che avesse mai
visto. Chi avrebbe mai potuto compiere un lavoro così preciso e ricercato?
La leggenda degli abili topini, di un gatto rossiccio, e di un cane fedele che lavorarono
ininterrottamente la vigilia di Natale si divulgò nel paese di Confetto. C’è chi sostiene che in quella
notte, la finestra della cappelleria emanasse un tenue bagliore, e chi di avere visto piccole ombre
muoversi senza un attimo una tregua.
Nessuno seppe mai con certezza se queste leggende fossero accadute realmente. Nessuno tranne
Sofia, che trovò tanti minuscoli pezzettini di formaggio sparsi fra i gomitoli di lana e i fiocchi di
chiffon.
Di silvia isoppo