In occasione della Giornata mondiale del Teatro, celebrata lo scorso 27 marzo, il Miur ha presentato le linee guida per l’introduzione del teatro come materia didattica nelle scuole di tutta Italia di ogni ordine e grado. Abbiamo intervistato al tale proposito Sara Bonaventura, Claudio Cirri e Daniele Villa, fondatori del Teatro Sotterraneo, collettivo di ricerca teatrale nato a Firenze nel 2004. Molto attiva sul territorio italiano e anche vincitrice di numerosi premi, la compagnia fiorentina, negli oltre 10 anni di attività, ha proposto numerosi spettacoli capaci di parlare sia agli adulti che ai bambini. Con questi ultimi organizza regolarmente laboratori in cui al centro ci sono il teatro ed il gioco.
Teatro a scuola: ritenete che questa novità possa dare maggiore valore al teatro restituendogli anche una valenza sociale e formativa?
Il teatro non ha mai perso la sua valenza. Certo, ha perso centralità, in una mappa di consumi culturali che si amplia continuamente. Farne una materia scolastica riconosce però che questa disciplina, antica e contemporanea al tempo stesso, crocevia delle arti, sintesi di mente e corpo, può e deve tornare al centro dell’immaginario (sociale, politico, culturale ecc).
Purtroppo in Italia i teatri hanno carenza di pubblico, pensate che questa novità introdotta dal Miur possa appassionare soprattutto i giovani, incentivandoli ad andare a teatro?
I giovani identificano il teatro con le sue forme più tradizionali e superate, molti di loro neanche sanno che nel mondo ci sono artisti (Fabre, Garcia, Castellucci) che propongono opere molto più radicali e sconvolgenti di tanti cineasti e youtuber… il teatro nelle scuole è sicuramente un ottimo “allenamento” per generare curiosità, poi dipenderà moltissimo da che tipo di teatro verrà insegnato e da quanto l’insegnamento sarà non solo teorico ma anche pratico, nel senso sia di stare in sala prove a “giocare” (to play theatre, in inglese) sia di andare a vedere spettacoli.
Ritenete che la scuola italiana sia pronta per accogliere al suo interno la pratica del teatro, facendola diventare una materia didattica a tutti gli effetti?
Riteniamo che la cosa avvenga persino un po’ in ritardo. Sarà importante che a gestire le lezioni però siano persone di teatro, altrimenti il rischio è quello di un obbligo scolastico che viene assolto – le miglior dei casi – con l’impegno amatoriale di un insegnante, lodevole, ma non sempre all’altezza del compito.
In che modo è possibile riuscire a far coesistere didattica e gioco?
Nel teatro è impossibile separarli. Il gioco funziona se si conoscono le regole. Non si dà gioco senza regole e non si dà estro, genio, idea senza che si parta dalla conoscenza, anche per smentirla. Giocare nel teatro richiede anzitutto di apprendere codici e pratiche condivise in un lavoro di gruppo, nulla di più civico insomma.
Quali sono secondo voi i maggiori benefici che potranno avere i giovani ed i giovanissimi facendo teatro a scuola?
L’elenco è lungo. Ne citiamo due. 1: l’espressione di sé (parola, corpo, maschera di un Altro ecc) nel rapporto con gli altri, sperimentando dinamiche completamente inedite rispetto a quelle magari stabilizzate in classe: in scena il ‘loser’ della classe può rivelarsi eroico e costringere tutti a un ripensamento. 2: una sorta di vaccino culturale, la nostra è la società dello spettacolo dove i principi dell’efficacia scenica e comunicativa governano tutto, dalla politica ai calciatori ai selfie sui social: studiare questi principi, che affondano nell’alba dei rituali primitivi e delle pitture rupestri significa non solo saperli usare, ma anche sapersene difendere.
Quali sono i compiti più importanti dell’esperto di teatro che andrà ad insegnare nelle scuole?
Trasmettere sapere, stimolare il gioco, far sì che il teatro si ricollochi al centro dell’immaginario dei ragazzi. Farli divertire senza che nemmeno si accorgano che qualcosa si incide in loro per sempre; sarà difficile poi che possano ascoltare qualcuno dire: “aboliamo i finanziamenti al teatro perché con la cultura non si mangia”, senza classificarlo come un povero idiota.
Con quali differenti modalità e strategie l’attività teatrale può essere utilizzata nelle diverse fasce d’età della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria?
E’ talmente complesso che il Ministero dovrà coniugare precisione ed elasticità nel dare linee guida, e non sarà facile. Dipenderà dalle classi anche, dai territori, quello che non dovrebbe mancare è il dinamismo: FARE teatro, non solo studiarlo, un apprendimento che passi dall’esperienza diretta e questo vale per qualsiasi fascia d’età.
Ci raccontate le esperienze per voi più importanti in cui avete fatto teatro insieme ai bambini? Come sono state accolte dai ragazzi?
Noi abbiamo fatto spettacoli per bambini, spettacoli con bambini, laboratori per adolescenti e spettacoli con adolescenti, tutto è sempre stato intenso, profondo, e ha lasciato un segno nei ragazzi, che si sono divertiti, emozionati, spaventati, hanno pianto, hanno urlato. Il minimo comune denominatore però è la scoperta: di sé, di come si può agire in pubblico, di come si può creare poesia e divertimento da un vuoto – che è come appare il palco solitamente. Questo potenziale i ragazzi se lo portano dietro, forse per sempre.